Ho visitato personalmente Varanasi durante il mio viaggio di 15 giorni in Rajasthan, ma in questo post non troverete nessuna fotografia dei ghat delle cremazioni di Varanasi, fotografare è vietato e irrispettoso. Ma come tutte le cose in India basta pagare la persona giusta e magicamente allora tutto diventa permesso. Io per mia decisione personale, anche se avrei potuto farlo, ho scelto di non fotografare lo stesso.
“ Che dovrei fare di ciò che non mi rende immortale?” Maitreyi a Yajnavalkya, Upanishad
250 kg. di legna occorrono per bruciare un corpo di media grandezza.
Un kg. di legna costa circa 5 rupie.
Il costo totale di una cremazione è perciò di circa 1000 rupie. Più o meno 15 euro.
Il tempo necessario per terminare l’opera è di circa 3 ore.
Il Manikarnika Ghat, il principale burning ghat della città, lavora giorno e notte, 24 ore consecutive, 7 giorni su 7, periodo dei monsoni e festività comprese e circa 250/300 persone vengono cremate ogni giorno.
Sono a Varanasi, la città più santa per gli Indù. Morire qui significa liberarsi definitivamente dal Ciclo delle Rinascite e raggiungere la Mokhsa, quello che i Buddhisti chiamano Nirvana.
I suoi ghat, le scalinate che scendono al Gange, la dea Ganga per gli Indù, sono sempre affollate di fedeli che soprattutto nella luce calda del mattino purificano il loro corpo compiendo abluzioni e immergendosi nelle sacre acque del fiume.
Una delle storie del Manikarnika ghat è che Parvati, moglie di Lord Shiva, perse un suo orecchino mentre faceva il bagno e chiese al marito di cercarlo e di non andarsene finché non lo avesse ritrovato. Lord Shiva non lo trovò mai e la leggenda racconta che ogni volta che un corpo brucia, Lord Shiva chieda agli spiriti se per caso abbiano visto l’orecchino di sua moglie.
Accanto alle cataste della legna e alle bilance, vi è una moltitudine di parrucchieri e barbieri.
Ashok, un ragazzo che si presenta come guida, mi spiega che colui che ha il compito di appiccare il fuoco è il parente più stretto del defunto. Veste una tunica Bianca e deve radersi a zero, barba e capelli. I musulmani lasciano però una piccolissima ciocca di capelli al centro della testa.
Osservo che il corpo della persona deceduta viene adagiato su una lettiga di bambù e avvolto in stoffe di colore giallo e arancione acceso, mentre i portatori, che appartengono alla casta degli Intoccabili, intonano il canto gioioso “Rama Nam”.
Giunti sulle rive del fiume il volto viene scoperto e asperso con infinita cura con gocce del sacro fiume.
Intorno alle cataste da cui si leva un fumo denso le vacche continuano a rimestare tra i rifiuti in cerca di cibo, i ragazzini lanciano urla concitate impugnando le mazze del cricket e i turisti osservano con curiosità morbosa tutti più o meno visibilmente frustrati, alcuni dallo spettacolo che si svolge davanti ai loro occhi stralunati, altri dal non poter scattare foto.
Le due rappresentazioni della vita e della morte corrono su due binari paralleli e l’una sembra la naturale evoluzione e complemento dell’altra.
Non vi è antitesi, né contrasto. Appartengono allo stesso disegno.
E infatti non vi è alcuna manifestazione di dolore.
Anzi, nei gesti codificati con cui si dispongono i pezzi di legna sul corpo del defunto c’è una certa frenesia.
Il parente più stretto sopraggiunge a un certo punto con un fascio di sterpaglie, accese col fuoco di Shiva nel santuario a fianco e compie 5 giri attorno al congiunto, 5 quanti sono gli elementi. E infine, con gesto preciso e solenne, appicca il fuoco alla pira.
“Piangere e manifestare il dolore non è permesso perché interromperebbe il viaggio del defunto verso la sua liberazione” mi spiega Ashok.
Solo 5 eccezioni sono ammesse nel mondo indù alla regola ferrea della cremazione: i bambini sotto i 12 anni perché sono innocenti, le donne incinte per lo stesso motivo, i sadhu perché non hanno peccati, i morti per morso del cobra e i lebbrosi perché entrambi sono manifestazioni di Shiva.
A tutti loro viene legato un masso intorno al collo, vengono portati al largo su una barca e infine gettati nel Gange. Anche le vacche godono dello stesso privilegio.
Ashok mi indica un’alta costruzione a fianco del ghat.
È la casa più opulenta di tutta Varanasi, così mi spiega.
Appartiene al suo abitante più ricco.
È il proprietario del ghat delle cremazioni.
É un Intoccabile.
Al Ghat Harischchandra l’atmosfera è invece più raccolta, più intima.
Al centro svetta una piattaforma slanciata riservata ai più alti di casta, mentre i poveri tra i poveri vengono bruciati nel forno elettrico poco distante.
A un tratto un ragazzo scoppia in un pianto irrefrenabile. È in preda a una disperazione fuori controllo e si getta ripetutamente sulla pira della persona amata. È il più alto di tutti ma anche il più fragile. Gli amici e i parenti fanno fatica a sostenerlo.
In riva al fiume il volto viene finalmente scoperto: è di una ragazza giovane, dai tratti del viso straordinariamenti delicati e l’espressione serena. Avrà poco più di 20 anni.
Ci sono leggi tra gli uomini che trascendono persino i più inflessibili dettami religiosi.
Ci sono sentimenti ostinati e dolori che non trovano giustificazioni né conforto.
Anche qui.
Anche a Varanasi.
La sera osservo le colonne di fumo che si levano dal ghat sottostante e ascolto il crepitio della legna mentre il vento mi porta un odore sconosciuto, indefinibile. Sono seduto sulla terrazza della mia guest house e sto sorseggiando la mia solita Kingfisher gelata.
Ci provo. Insisto.
Ma in tutta la giornata è l’unica scena che non riesco a comporre assieme.
E, una birra dopo l’altra, la mia mente prende il volo.
Il confine tra realtà e finzione, tra ciò che dovrebbe essere e ciò che invece è, tra la ferrea logica occidentale e il mondo parallelo del misticismo indiano, diviene sempre più sottile, sempre più sfumato e impalpabile.
Senso del possesso e non attaccamento, tenacità degli affetti e abbandono, la vera natura dell’esperienza umana e il significato ultimo dell’esistenza, tutti i grandi temi fondamentali si affacciano nella mia testa, in un anarchia fantasmagorica e gioiosa.
E Varanasi compie un’altra magia:
Proprio qui, dove la morte è onnipresente, non mi sono mai sentito così attaccato alla vita.
Qualche informazione in più sui Ghat delle Cremazioni
Dal momento che Varanasi (Benares) è ritenuta da molti essere la città più antica del mondo, è anche considerata la più sacra sulle rive del Gange. Le persone arrivano qui da tutta l’India per pregare, prendere l’acqua sacra, fare le abluzioni e anche solo per morire.
Manikarnika ghat è famoso per essere il principale ghat per le cremazioni a Varanasi.Il secondo, più piccolo e destinato al popolo più povero è l’Harishchandra Ghat.
Manikarnika Ghat è associato ai nomi di Lord Shiva e Lord Vishnu e secondo l’induismo essere cremati qui significa interrompere il ciclo delle rinascite e raggiungere il nirvana.
Manikarnika è anche famoso per il tempio di Lord Shiva e Mata Durga che fu costruito intorno al 1850 dal maharaja dell’Awad (una regione all’interno dello stato dell’UttarPradesh) e per lo stagno sacro scavato (Cakra-Pushkarini Kund), sempre secondo le leggende, da Lord Vishnu.
Secondo la leggenda questo stagno sarebbe ancora più antico del Gange stesso.
Sempre la leggenda racconta anche che in questo ghat, su una lastra di marmo sia presente la Charanapaduka (l’impronta) di Lord Vishnu che venne qui a pregare per molto tempo.
L’altra faccia della medaglia delle cremazioni è che, secondo questo articolo della CNN, la continua richiesta di legna sta decimando le foreste himalayane: solo in India ogni anno vengono consumati tra i 50 e 60 milioni di alberi e la richiesta è in crescita. Per risolvere in parte questo grosso problema sono stati costruiti dei forni crematori a gas o elettrici, ma vista la condizione e l’inaffidabilità delle fonti di energia elettrica sono spesso chiusi e inutilizzabili.
Inoltre, non tutte le famiglie sono in grado di affrontare la spesa delle cremazioni e della legna necessaria per bruciare un intero corpo. Molti corpi vengono quindi buttati nel Gange solo parzialmente cremati o non cremati del tutto.
Le stime dicono che circa 100.000 corpi vengono buttati nel Gange ogni anno.
Nota: quando ho deciso di scrivere un post sui ghat delle cremazioni a Varanasi mi sono resa conto che era un tema da trattare con estrema delicatezza. Delicatezza e approfondimento di cui non pensavo di essere in possesso. Ho allora chiesto al mio amico Fabrizio Nicoletti un aiuto. Fabrizio è esperto di India (in cui ha trascorso molti mesi) scrittore, ma soprattutto un grande viaggiatore. Questo post è per la maggior parte opera sua.
Fabrizio ha scritto un bellissimo libro (che io ho letto quindi fidatevi) “I come India, 15 mesi tra sari, sadhu e smartphone” che trovate a questo link.
Francesco Mautone
Ho visto un reportage di Varanasi proprio
stamane e sono rimasto affascinato e colpito dalle funzioni crematorie sul ghat. È una cerimonia che lascia a noi occidentali un senso di sgomento e allo stesso tempo di curiosità. In ogni caso si deve rispettare la loro usansa anche se non si condividono alcune modalità di esecuzione.