La verità è che è stato molto difficile per me, che monto a cavallo, scrivere questo post: prendere parte come osservatrice passiva della jineteada ha fatto nascere in me tantissime domande.
Li ho sentiti prima di vederli: il rumore di centinaia di zoccoli sull’asfalto della strada. La strada principale di El Calafate era gremita di gente. Mi sono fermata a curiosare e li ho visti passare: decine e decine di persone a cavallo, vestite in abiti tradizionali con stemmi e bandiere e con una grande folla di persone che li seguivano.
Mi sono messa nella scia e mi sono ritrovata davanti ad un enorme campo in erba e terra battuta.
Ho scoperto che si trattava di una jineteada cioè l’equivalente di un rodeo: qui erano arrivati gauchos da tutto il paese e anche da alcune parti del Cile.
Tutti portavano con orgoglio i vestiti tradizionali: le alpargatas, scarpe di tela e corda, meglio conosciute da noi come espadrillas, i bombachas, ovvero pantaloni in cotone estremamente resistenti, poncho e la boina, il cappello.
Alcuni di loro indossavano anche il tradizionale coltello legato dietro alla schiena, il facón, rigorosamente in argento.
Dietro gli spalti su alcuni barbecue veniva cucinato l’asado (carne cotta alla brace) accompagnato poi dal chimichurri, una salsa composta da erbe, aglio, olio e peperoncino piccante; intorno ai fuochi le persone bevevano (ho scoperto che gli Argentini bevono una specie di fernet mescolato con la coca cola), mangiavano e fumavano tabacco.
I lunghi solchi scavati nella pelle delle persone più anziane ne raccontano una vita faticosa, vissuta all’aria aperta perennemente esposta al sole e al vento della steppa Patagonica. Ma quello era un giorno di festa, gli occhi increspati sotto le falde dei cappelli sorridevano pieni di orgoglio mentre osservavano i giovani nipoti mettere alla prova il proprio coraggio.
La jineteada si svolge in questo modo: a turno un cavallo selvaggio (ho poi scoperto successivamente che questi cavalli non sempre sono selvaggi ma sono addestrati per questo) viene legato ad un palo in modo da poter far salire sopra il gaucho di turno.
Sono rimasta allibita quando ho visto che si trattava di ragazzi tutti in giovanissima età.
Al segnale dell’arbitro, il giovane cavallo viene liberato: la sfida dei cavalieri è riuscire a non farsi disarcionare dal puledro che in tutti i modi possibili cerca di liberarsi dal suo carceriere.
La jineteada richiede tantissima esperienza e destrezza: rimanere in sella è molto più difficile di quello che potrebbe sembrare.
Chi ci riesce, allo scadere del tempo (dai 6 ai 15 secondi, a seconda della categoria) viene acclamato ed applaudito dalla folla.
Quando ho visto il primo ragazzo disarcionato con forza cadere a terra e toccarsi il collo, il mio cuore ha mancato un battito.
Fortunatamente invece era solo il colpo preso: il giovanissimo cowboy si è rialzato orgogliosamente spazzolandosi via la polvere dai pantaloni con i palmi delle mani. Tornato a bordo campo è stato consolato dai suoi avversari con sorrisi amichevoli e forti pacche sulle spalle.
Le origini dei gauchos argentini risalgono ai conquistadores spagnoli che arrivarono in America latina. Ancora oggi i gauchos continuano a svolgere il loro compito dell’allevamento di ovini, bovini e cavalli.
Nonostante molte estancias (la risposta argentina al ranch) siano state convertite in hotel, giocano ancora un ruolo di importanza fondamentale nell’economia del paese.
Nella cultura argentina l’immagine del gaucho rappresenta forza, indipendenza e soprattutto libertà. La figura di questi romantici cowboys solitari ha da sempre stimolato l’immaginazione e per centinaia di anni ha ispirato, poesie, storie e musica della tradizione argentina.
La sua identità è ben rappresentata in queste righe dello scrittore argentino José Hernandez:
“La sua speranza è il suo coraggio, la sua difesa è la prudenza; il suo cavallo è la sua salvezza e lui trascorre le notti insonni con nessun’ altra protezione che il cielo stellato e nessun’altro amico che la sua lama”.
I primi gauchos apparvero intorno al 18esimo secolo. Conducevano una vita per lo più solitaria e dedicata a sé stessi, vivendo domando cavalli selvaggi e occupandosi del bestiame. Erano persone a cui servivano solo pochi vestiti, un buon cavallo e un coltello. Se ne fregavano delle leggi, non rendevano conto a nessuno della loro vita e tutto quello che desideravano era una serata intorno al fuoco a bere, discutere, cantare e combattere.
Vagavano per la sterminate pianure dell’Argentina perennemente spazzate dal vento, sorseggiando mate e cacciando bestiame. Non potevano conservare la carne per cui la cuocevano su fuochi all’aria aperta: nasce così l’asado, il piatto argentino per eccellenza che viene ancora oggi cucinato in ogni angolo del paese.
Se si potesse immaginare il gaucho come una figura mitologica, sarebbe sicuramente il centauro: mezzo uomo e mezzo cavallo. Lo dice anche un antico detto: “il gaucho e il suo cavallo sono una cosa sola, un uomo a piedi è un mezzo gaucho”.
Con l’arrivo delle estancias a poco a poco il gauchos persero la loro vita completamente nomade e cominciarono ad ottenere dei lavori dai grandi proprietari terrieri per prendersi cura del loro bestiame.
Oggi quasi 150.000 gauchos tengono ancora viva questa cultura: la maggior parte di essi lavora nelle grandi estancias con i cavalli, i bovini e le pecore e trascorre il proprio tempo negli spazi infiniti della steppa patagonica, proprio come faceva centinaia di anni fa.
Anche se per molti, a causa della perdita della loro vita nomade, il gaucho vero non esiste più, io al rodeo ho respirato aria di pura autenticità.
Per me è stata un’interruzione festosa al silenzio immobile dell’arida steppa, un modo per entrare in contatto con una tradizione a me completamente sconosciuta.
Per tutti gli altri è stato un semplice momento di quella vita che vivono da sempre.
Molte associazioni per i diritti degli animali sono impegnate affinché la jineteada venga abolita, almeno come viene oggi praticata, in quanto si tratta di una tradizione molto pericolosa sia per i cavalieri che per i cavalli.
Soprattutto dopo l’abbattimento di un cavallo, “El Zorrito”, per un incidente durante la jineteada del National Folklore and Doma Festival che si tiene nella provincia di Cordoba e la rottura di una zampa, la petizione ha raggiunto circa 1,700 firme. Al momento però la jineteada viene ancora largamente praticata non solo in Argentina, ma anche in altri paesi dell’America Latina.
Dopo aver riflettuto molto come al solito, non ho trovato una risposta e anzi, i miei dubbi sono diventati ancora più grandi.
La domanda principale che mi sono posta è stata se è giusto o no utilizzare questi splendidi animali per un evento ludico soprattutto se rude come questo, anche se fanno fortemente parte della cultura e tradizione locale (l’alternativa sarebbe il macello).
Tu cosa ne pensi?
partyepartenze
Grande esperienza quella di assistere a tradizioni così antiche. Sono del parere che gli animali non vadano mai utilizzati ma amati, ma sono sicura che molti di quei cavalli abbiano trovato una casa sicura tra i gauchos. Chi siamo noi per giudicare se ancora oggi sgomitiamo al Palio di Siena?
Emarti
Esattamente! E per quanto riguarda il Palio di Siena sono perfettamente d’accordo con te :D
Daniela
Concordo con quanto scritto da Party e Partenze .
Emarti
:D
Michela
Sapevo che avresti scritto un bellissimo articolo su questo argomento.
La tua domanda è lecita. e non c’è una risposta giusta o sbagliata. Non ho mai assistito a manifestazioni di questo tipo, ma attraverso il tuo racconto, ho sentito delle emozioni forti, di orgoglio e tradizione. Che sono quelle che animano lo spirito dei Gauchos.
Per me è una rappresentazione dell’essere uomini, un affermarsi dei proprio valori e delle proprie tradizioni. Non è ancora diventato un mero gesto turistico, ma è vita.
Finchè questa tradizione continuerà in questo modo, va preservata ed apprezzata, anche se magari molto lontana dal nostro pensiero.
Soprattutto in un mondo dove la perdita di valori e tradizioni sembra essere ovunque.
Mi auguro però che questo rodeo non diventi mai una semplice attrazione turistica. Perchè in quel caso avverrebbe una perdita di valori, si andrebbe a snaturare la sua essenza e a quel punto, a mio parere, si trasfonderebbe in una pratica di maltrattamento e nulla di più.
Bess
Io ho una cavalla argentina di 23 anni, nata libera e domata dai gauchos, spedita poi in Italia. Ha la lingua tagliata nel mezzo (profonda cicatrice), piena di traumi e timore del sesso maschile. Tradizione o no, per me è inconcepibile il trattamento che quei cavalli devono subire. Quello non è amare i cavalli. Tantissimi cavalli argentini che arrivano da là sono pieni di traumi psicologici.
Emarti
Ciao Bess, anche io ho un cavallo, ma non argentino bensì italiano. Capisco cosa provi, lo stesso vale per me. Però sai vedo lo sfruttamento di questi bellissimi animali spesso anhce qui nelle gare. Vero è che li trattiamo con i guanti bianchi, ma vedo continuamente cavalli con problemi che vengono infiltrati per continuare a farli saltare. Ci vorrebbe molto più rispetto.